Il professor Coleman Silk nasconde un segreto da cinquant’anni, e lo fa così bene che nessuno, nemmeno sua moglie e i suoi figli, se n’è mai accorto. Un giorno però basta una frase (anzi una parola sola, detta per sbaglio, senza riflettere) per scatenare su di lui, e su tutto il suo mondo, le streghe del perbenismo, gli spirti maligni della political correctness. Mentre la sua vita precipita nel caos, l’America non a caso sta vivendo l’evento più inspiegabile della sua storia democratica: siamo infatti nel 1998, l’estate in cui il pene di un presidente invase la mente di tutti.
La trama de La macchia umana di Philip Roth non si nasconde attraverso complicati intrecci, anzi risulta decisamente scorrevole. Coleman Silk, il protagonista principale, nasconde per tutta la vita un segreto inconfessabile. Lo nasconde sin da giovane arrivando a rompere con la sua famiglia e, poi, lo nasconde a sua moglie, ai suoi figli e ai suoi colleghi di università. Una macchia umana inconfessabile. Fino ad uno dei momenti di climax finali quando, a 70 anni, viene accusato di razzismo dal consiglio dell’università in cui lavora e trova inizio la fase decadente della sua esistenza. La sua vita prende un’altra piega, dalla morte della moglie alla relazione erotica con una giovane donna, cui deve arrivare a confessare la sua personale macchia umana, il suo incredibile segreto. Il segreto di Coleman Silk non è l’unico inconfessato, infatti l’azione si sposta ad un’estate particolare per l’America e per gli americani.
Era l’estate in cui il pene di un presidente invase la mente di tutti e la vita, in tutta la sua invereconda sconcezza, ancora una volta disorientò l’America.
La condanna ferma e costante per il presidente è la stessa con cui si deve scontrare il protagonista del libro di Roth, l’atteggiamento bigotto è lo stesso che caratterizza il problema del razzismo che evapora da ogni pagina del testo, dove l’io del singolo diviene parte del noi, quel noi caratteristico delle categorie bistrattate e relegate.
Dalla sera alla mattina l’io nudo e crudo era venuto a far parte di un «noi» che aveva tutta l’arrogante solidità del «noi», anche se lui non voleva averci nulla a che fare, né con qualunque altro tirannico «noi» gli fosse capitato d’incontrare.
Tutti sanno, nessuno sa. La verità è un concetto troppo vasto e ambiguo, niente è come sembra e il lettore viene trasportato dall’autore lungo il cammino impervio della verità storica, ma anche delle verità dei singoli personaggi, ognuno con la sua storia, ognuno con tutte le sue problematiche. Ognuno con i suoi segreti. Non ci sono stereotipi, non ci sono cose semplici. Dietro un’ingenua apparenza, tutto è complesso e problematico. La macchia umana che ogni persona nasconde è traccia dell’incommensurabile fragilità dell’uomo e della sua breve vita. Roth non ci lascia lezioni da imparare, anzi, l’unica lezione è che non ci sono lezioni e che l’uomo non si può comprendere come collettività. E’ il trionfo della singolarità di ogni essere umano.
La macchia umana, – disse, ma senza ripugnanza, né disprezzo, né disapprovazione. E senza tristezza. E’ così.
La filosofia dell’eroe che, attraverso la riabilitazione del protagonista, arriva soltanto nel finale e per merito dell’amico scrittore e voce narrante del romanzo, riconduce il testo ai canoni classici quando, per tutta la durata dello stesso, Roth sperimenta, mescola, a tratti, sembra quasi ingannare il lettore per l’assurda condotta del protagonista. Quello che dice l’autore non è dichiaratamente univoco, ma si presta a interpretazioni a più livelli di profondità: ogni lettore darà un suo perché alla storia e ne trarrà le sue personali conclusioni. Ed è questa la grandezza di Roth, unita a un’incredibile capacità di commuovere e far ridere allo stesso tempo e di farlo con una disarmante semplicità.
Un autore straordinario, un libro straordinario. La macchia umana – Philip Roth